domenica 31 ottobre 2010

Quando la nave andava


Ha scritto Giuseppe Pontiggia che “la seconda metà della vita viene spesso impiegata, più che a scoprire nuove verità, a liberarsi dalle menzogne della prima”.
Mi ci ritrovo pienamente, in queste parole.
Per dire, ricordo come se fosse oggi una serata del 1987 in cui io e i miei sodali Fabio M., Franco V., Stefano F. e Paolo B. ci ritrovammo a casa dei miei genitori per assistere, emozionatissimi ed eccitatissimi, alla storica intervista concessa da Fidel Castro a quella macchietta di Gianni Minà. Facevamo il tifo per Cuba, noi. Anzi, siccome devo parlare per me, io facevo il tifo per Castro.
E già che ci sono mi ricordo anche di quando facevo il tifo per l'I.R.A.: perché, vedete, una volta ero “antimperialista”, io. Perciò ritenevo che sparare ai militari inglesi e far esplodere delle automobili imbottite di Semtex in giro per l'Irlanda del Nord fossero cose sacrosante in quanto, appunto, “antimperialiste”. Per provare a giustificarmi potrei dirvi che rimasi parecchio impressionato dalla morte di Bobby Sands e degli altri nove a Long Kesh, nell'Ottantuno, e che tutto il resto venne di conseguenza, ma insomma... simpatizzavo per il terrorismo dell'I.R.A., questo è quanto: non l'ho rimosso, ahimè, non ci sono mai riuscito.
E dunque nella mia complicata adolescenza ho detto (e fatto) moltissime cazzate di cui oggi mi vergogno parecchio. Potrei raccontarvene tante altre, ma credo che quanto sopra sia già più che significativo.
Di una cosa, però, non mi sono mai pentito: di aver odiato profondamente Bettino Craxi.

Odiavo le sue lunghe pause tra parola e parola. Odiavo vederlo in maniche di camicia ai congressi del suo partito, sudato come una bestia dopo ore e ore di parole e lunghe pause. Odiavo i suoi occhiali. Odiavo vederlo agitare minacciosamente quel suo ditone da gorilla. Odiavo i nomi dei suoi sottopanza (Giusi La Ganga... La Ganga, ma vi rendete conto? Paris Dell'Unto... Dell'Unto?!?). Odiavo l'evocazione ossessiva di quella sua 'Grande Riforma' dei cui reali contenuti nessuno ha mai capito un accidente di niente e che però era 'Grande', ostia.
E poi odiavo la nave che andava. Odiavo le grottesche piramidi di Panseca. Odiavo la pubblicità dell'Amaro Ramazzotti. Odiavo la Vanoni. Odiavo Gianni Versace.
Sì, lo odiavo ferocemente, Bettino Craxi, che fu 'garibaldino' a Sigonella, come no, e che alla fine di quella splendida garibaldinata fece scappare dall'Italia, e con tutti gli onori (ma nessuno, chissà perché, lo ricorda mai), gli assassini di un povero paraplegico ebreo.
Ho pensato tanto a Bettino Craxi, in questi ultimi giorni.
Perché è a lui, proprio a lui, che dobbiamo lo schifo indicibile che, da qualche anno in qua, abbiamo imparato a chiamare berlusconismo.

Craxi, al tempo, lo chiamava modernizzazione.

martedì 26 ottobre 2010

Al calduccio sotto le mie copertine (n.25)

Richard and Linda Thompson, Shoot out the lights, 1982

Let me ride on the Wall Of Death one more time
Let me ride on the Wall Of Death one more time
You can waste your time on the other rides
This is the nearest to being alive
Oh let me take my chances on the Wall Of Death.

domenica 24 ottobre 2010

Io non ce l'ho, un Giordano in cui battezzarvi. Lo giuro.

Su la Repubblica di oggi, pagina 19: “AVETRANA - Stop al turismo dell'orrore. Avetrana si ribella al nuovo esodo annunciato per oggi nella cittadina del Salento, dopo l'invasione di domenica scorsa. Addirittura si ha notizia di carovane di curiosi pronti a muoversi con bus gran turismo, in partenza dalla Basilicata, dalla Calabria e da Ancona. Tutti vogliono vedere i luoghi della tragedia di Sarah Scazzi. La casa dalla quale è uscita per andare incontro al suo terribile destino. E anche la villetta in cui, secondo gli investigatori, è stata assalita e strangolata dallo zio Michele Misseri con la complicità della cugina Sabrina”.
Secondo Elena, nel mio turpe cazzeggio di venerdì scorso sarei stato addirittura “profetico”.
Rispondo canticchiando.

E però...

venerdì 22 ottobre 2010

La Talkischeap Travels organizza!



Pellegrinaggio per gruppi min. 25 persone a San Giovanni Rotondo (FG) e Avetrana (TA) . Pensione completa 4 giorni, 3 notti.



PROGRAMMA VIAGGIO


1° giorno - VERSO SAN GIOVANNI ROTONDO - SAN PIO.
Partenza in torpedone ore 8:00 dal luogo convenuto. Soste lungo il percorso e arrivo previsto a San Giovanni Rotondo (FG) in prima serata. Sistemazione in hotel 2*. Cena al ristorante Tuppe tuppe, marescià e pernottamento in hotel.
2° giornoSAN GIOVANNI ROTONDO - Visite libere.
Prima colazione in hotel. Giornata a disposizione per visite individuali e devozioni presso il moderno Santuario la cui cripta ospita la Tomba di San Pio (poco lontano troviamo anche la Casa della Sofferenza e il piccolo Convento di S. Maria delle Grazie dove visse e operò il Santo da Pietrelcina). Pranzo al ristorante Tuppe tuppe, marescià. Pomeriggio a disposizione per continuare le visite ed il pellegrinaggio alla tomba del Santo. Cena al ristorante Tuppe tuppe, marescià e pernottamento in hotel.
3° giornoAVETRANA E LA TRAGEDIA DI SARAH.
Prima colazione in hotel. Partenza in torpedone ore 9.00 dal luogo convenuto. Soste lungo il percorso ed arrivo previsto ad Avetrana (TA) nel primo pomeriggio. Sistemazione in hotel 2*.
Nel corso della giornata: visita in gruppo alla casa di via Deledda in cui la piccola Sarah Scazzi è stata aggredita e soffocata da Michele Misseri - lo zio orco - il 26 agosto 2010 (sosta davanti al portone che immette al garage e alla cantina sotterranea della "casa dell'orrore"); proseguimento del pellegrinaggio alla volta della dimora della piccola Sarah, in Via Verdi (sosta davanti al portone di casa Scazzi); visita al campo sportivo di Avetrana dove sono state celebrate le esequie della piccola Sarah (con possibilità di assistere all'allenamento dell' A.S. Sant’Antonio Avetrana); visita alla tomba della piccola Sarah al cimitero di Avetrana. Cena al ristorante da Savino 'u pacce e pernottamento in hotel.
4° giorno - RIENTRO A MONFALCONE.
Prima colazione in hotel. Partenza in torpedone ore 9.00 dal luogo convenuto per il viaggio di rientro con soste lungo il percorso e arrivo previsto a Monfalcone in tarda serata.



QUOTA PER PERSONA € 200.
Una batteria di pentole in regalo ai partecipanti!!!

giovedì 21 ottobre 2010

Dilemmi

In Le Père Goriot, uno dei capisaldi della Commedia umana di Balzac, lo studente Eugène de Rastignac chiede al suo amico Bianchon (vado a memoria): “Cosa faresti se qualcuno ti proponesse la ricchezza e in cambio ti chiedesse di uccidere, con la sola volontà e senza muoverti da Parigi, un vecchio mandarino della Cina?”

Rastignac sostiene di aver trovato quella domanda da qualche parte nell'opera di Jean Jacques Rousseau. In realtà è roba di Chateaubriand, e qui si potrebbe divagare un bel po', chiedendosi come mai Balzac l'abbia invece attribuita Rousseau e cercando di dare una qualche risposta, ma questo, nel tempo, lo ha già fatto altra gente - tutta gente mooolto più qualificata di me - e dunque non mi pare proprio il caso di mettermici pure io (sappiate però che non si è trattato di distrazione).
Proprio una domandaccia, nevvero? Ne fu particolarmente colpito il famoso dottor Freud, che ne Il disagio della civiltà la riprese e cercò di interpretarla da par suo (fidandosi di Balzac, continuò però ad attribuirla a Rousseau): si ha un bel discettare della Morale dell'Uomo Occidentale (tutta in maiuscolo, naturalmente) o dei Valori della Civiltà Occidentale (come sopra) e però però però... se andiamo a grattare solo un pochino, cosa c'è sotto?
Ma sotto troviamo l'irrazionale, gente mia bella gente: ovvero istinti e pulsioni le più elementari, povero il vecchio mandarino cinese.
E anche il grandissimo Richard Matheson... Ma insomma, basta: tanto che son colto lo sapete, no?

In un film di Woody Allen del 1994, Pallottole su Broadway, un personaggio se ne esce così: “Mettiamo che ci sia una casa in fiamme e che accorrendo possiate salvare una cosa sola, o l'ultima copia esistente dell'opera completa di Shakespeare o un qualche anonimo essere umano... Voi che fareste?”.
Forte anche questa, come domanda, no?
E ne ho una ancora migliore: perché vi sto dicendo tutto questo?
Ma semplicemente perché ieri ci pensavo su... Cioè, prima ho pensato alla bava di Bossi, a quel suo figliolo grullo da far spavento e ciò nondimeno paraculatissimo, a Gentilini, a Borghezio, al sindaco di Adro, a Matteo Salvini, a Calderoli, a Castelli, a Miss Padania.
Poi mi sono chiesto cosa farei se qualcuno mi proponesse la ricchezza e in cambio mi chiedesse di seccare, con la sola forza di volontà, il bavoso mandarino di Gemonio.
E mettiamo che ci sia una casa in fiamme e che accorrendo io potessi salvare una cosa sola, o l'ultima copia esistente dell'opera omnia del Bardo o Gentilini in cappello d'alpino: io che farei?
E voi, voi che fareste?

venerdì 15 ottobre 2010

Parole celebri dalle mie parti (n.90)


"Alla Storia non va concessa l'ultima parola/ o la prima affermazione..."

(Seamus Heaney)

giovedì 14 ottobre 2010

I vinti: una saga


Domani, al Deutsches Historisches Museum di Berlino, verrà inaugurata una mostra dal titolo Hitler und die Deutschen. Volksgemeinschaft und Verbrechen. Traduzione: Hitler e i tedeschi. Comunità nazionale e crimine.
Secondo il quotidiano la Repubblica, “vale la pena di venire qui per vedere la mostra. E constatare come, in un'Europa dove riemergono ovunque i fantasmi del passato, il paese-leader si flagella in pubblico pur di tentare di esorcizzarli”.
Ecco allora “i primi manifesti del regime, le foto di folle che accolgono il Führer sedotte da un futuro radioso, ecco i busti di Hitler in ghisa prodotti a milioni per ogni devota famiglia, o i poster della Luftwaffe risorta che pochi anni dopo avrebbe raso al suolo Guernica e Varsavia, Rotterdam e Coventry". E ancora, e qui la cosa si fa interessantissima, i “documenti che provano il clima di delazione di massa, quell'atmosfera – spiegano i curatori della mostra – in cui la maggioranza della gente si adeguò passiva all'alternativa tra il consenso e la spirale di isolamento, denuncia, repressione. Così i tedeschi di allora – conclude il giornalista di Repubblica - marciarono alla guerra e alla catastrofe del 1945. I tedeschi di oggi non chiudono gli occhi, scelgono il monito della Memoria”.
E noi, in Italia?
Ma noi, in Italia, nella nostra notte fonda in cui tutte la vacche sono nere, abbiamo Giampaolo Pansa (nella foto).

Cioè, abbiamo anche Angelo Del Boca, grandissimo storico che è una vita che ci ricorda di quale ferocia siamo stati capaci, noi italiani, tra la Libia, l'Etiopia e i Balcani. Ma Del Boca, dalle nostre parti, non se lo fila nessuno, o quasi.

Invece Pansa... Ah, Pansa!
Un uomo scomodo, un uomo ostracizzato dall'intero sistema culturale del nostro povero Paese comunista per aver osato violare il sancta sanctorum del Pensiero Unico di Sinistra purtroppo dominante qui in Italia (povera, povera Italia!), un uomo costretto a pubblicare i suoi libri – libri che immancabilmente e inesorabilmente infrangono tutti quei tabù gauchiste che da noi hanno prodotto una “storiografia dimezzata” - per un editore di nicchia come Rizzoli.
È uscita da poco la sua ultima fatica ('fatica' si fa per dire, naturalmente: a Pansa certe cose vengono facili), I vinti non dimenticano, in cui l'eroico combattente, autore di pagine “che gli storici faziosi, quelli rossi, si sono sempre rifiutati di scrivere”, ci racconta, al solito, gli scannamenti operati dai crudeli comunisti in giro per l'Italia (ma solo a Nord di Roma, naturalmente: e fortunatamente) tra il 1943 e il 1945, e lo fa senza omettere nulla, nessun particolare, anche il più scabroso e grandguignolesco.
Come faccio a sapere tutto ciò, visto che il libro non l'ho letto né mai lo leggerò?
Boh? Potrei rispondervi che frequento parecchio le librerie e Il sangue dei vinti mi è capitato di sfogliarlo parecchie volte (si può ben dire che l'ho letto, via: prosa elementarissima, aggettivazione per anime semplici, retorica moooolto scolastica, diciamo da prima media e non se ne parli più). Ora, siccome Giampaolo Pansa

(nella foto) è un vecchio bacucco, e come tutti i vecchi bacucchi tende a ripetersi, I vinti non dimenticano non può essere altro che una copia carbone de Il sangue dei vinti.
L'ha intuìto benissimo mia moglie che ieri sera mi ha chiesto: “E dopo questo suo ultimo libro Pansa che farà? Scriverà Giardinaggio con i vinti? In cucina con i vinti?”.
Non è male, come giochino, se ci pensate. Io, di mio, ci metto Alpinismo con i vinti; Lo Zen e il sangue dei vinti; Ginnastica aerobica con Jane Fonda e i vinti; Il linguaggio del tuo migliore amico. Guida all'interpretazione del comportamento del Golden Retriever, a cura dei vinti.
Metteteci anche voi qualcosa, volete? Poi spediamo tutto a Pansa che magari ce ne sarà grato.

P.S.
Avrei anche potuto buttarla sulla ciàcola culturale, sapete? Ricordando, per cominciare, quanto scrisse nel 1980 Arnaldo Momigliano: “ciò che è nuovo nel nostro tempo è che esistono importanti correnti di pensiero che relativizzano tutti gli storici e li considerano meri esponenti di ideologie o, in modo ancora più restrittivo, di centri di potere. La storiografia viene dunque privata di ogni valore nella ricerca della verità”. (Sui fondamenti, pagina 65). E da qui, poi, fare tutto un discorso su...
Avrei anche potuto, dicevo: ma perché avrei dovuto? Giampaolo Pansa non è mica uno storico, dopotutto, e il fatto che un sacco di gente (gente di destra, in genere) pensi che lo sia, non fa di lui uno storico. Probabilmente Pansa (per tacer dei suoi lettori) avrebbe bisogno di Wikipedia per sapere chi era e cosa ha scritto Arnaldo Momigliano.
Dunque, buttiamola pure sul ridere.

lunedì 11 ottobre 2010

Un po' à la Poe (un Poe dei poveri...)


Non ci sentono gridare,
dalla tomba fredda e scura:
siamo seppelliti vivi
e tremiamo di paura!

Senza il sole che ci scalda,
solo un verme per compagno,
la coscienza che si sfalda,
ride forte il toporagno.

Beccamorto, se mi senti,
fammi uscire dall'avello:
nel profondo della fossa
impazzisce il mio cervello.


(dedicata al Poeta Igor Gherdol, l'Ed Wood della letteratura)

giovedì 7 ottobre 2010

Obbedienti alla parola del salvatore?

Nichi Vendola, il Presidente, anzi: il Governatore della Regione Puglia, ha definito Fassino, D'Alema e Bersani “anime morte”. E ci può anche stare, come no.




Detto ciò, forse in Italia lo si trova ancora, qualche Číčikov disposto a comprarsele, quelle anime morte (se non avete letto il romanzo di Gogol', sicuramente non sapete di cosa io stia parlando, ma visto che Vendola cita, raccolgo la sfida e cito pure io: sarò mica il figlio della serva, no?).
Fuor di metafora e fuori dai denti: è facile, facilissimo prendere a calci in culo i dirigenti del Pd (anch'io, nel mio piccolo...), tuttavia Nichi Vendola – che, en passant, non si sa dove lo trovi, poi, il tempo di governare la Puglia: perché questo dovrebbe essere il mestiere suo: governare la Puglia – Vendola, dicevo, mi pare un tantinello arrogante: rispetto al Pd - ahilui - è ancora troppo piccolo.
Mah... Si vede che l'uomo si sente in forma, e buon pro gli faccia, dico io.
Ciò che mi ha lasciato alquanto perplesso è stato sentirlo fare l'elogio del leaderismo: per vincere servono leader, ha detto in un'intervista a Chi, l'house organ della famiglia Berlusconi. E pensava evidentemente a se stesso, il Governatore...
Ora, secondo me, il problema della Sinistra italiana non è che le manca un leader. Un condottiero. Un Obama. Un Io.
Il problema della Sinistra italiana è che non riesce più a dire 'noi'. Manco per sbaglio.
Lettura che consiglierei a Vendola (dicono sia uno che qualcosa legge e allora, vedi mai...), il Christopher Lasch de La cultura del narcisismo: un testo visionario, geniale e inquietante la sua parte il cui autore adattò al campo delle scienze sociali un termine che il famoso dottor Freud adoperava in quello della psicopatologia.




Lasch, nel 1979, seppe intuire che mondo di merda sarebbe stato quello dell'individualismo più trafelato e cocainomane, ovvero il nostro mondo: l'età del culto esasperato della propria personalità guerriera, del proprio io dominatore e della propria inestimabile coscienza (ma quante volte, negli ultimi anni, dalle nostre parti - cioè a Sinistra - siamo rimasti impiccati, tutti quanti, a singole coscienze tormentate e naturalmente preziosissime, eh? Quante volte? “La mia coscienza non me lo permette, di votare insieme a voi!”. Ricordate? Vi torna?).
E poi l'elogio del leaderismo, via... In questo Paese? In questi anni?




“Chi dice troppo spesso «abbiate fiducia in me» rischia di arrivare alla fine a dire: «Non disturbate il pilota». Ora, il «non parlate al manovratore» sta bene scritto sul tram. Scritto in una sala d'assemblea, sarebbe la prefazione al fascismo.”



(Guido Calogero)

domenica 3 ottobre 2010

Memories are made of this

Risale a esattamente tre anni fa, il primo post di questo blog che si chiama come un vecchio disco del brutto ceffo qui sotto.

Non è tanto tempo, ma nemmeno poco. Me l'avessero detto, tre anni fa, che tre anni dopo sarei stato ancora qui, a fare il coglione in rete a beneficio (?) di chissà chi, beh, mica ci avrei creduto...
Faccio sempre finta di non sapere che c'è mooolto narcisismo, dietro alla scelta di tenere un blog (specialmente un blog futile e sciocchino come questo), ma in realtà lo so benissimo, che credete?
Ieri sera tardi mi son riletto qualche cosa risalente a quell'ottobre di tre anni fa: a un periodo, cioè, in cui cambiarono un bel po' di cose, nella mia vita. Davvero fatidico, a ripensarci ora, il post che intitolai A proposito di (canzoni e) maratoneti, un cazzeggio su Alan Sillitoe, Tony Richardson, Tom Courtenay e The Loneliness of the Long Distance Runner.

"Il panciuto direttore dall'occhio bovino disse a un panciuto deputato dall'occhio bovino che sedeva vicino a quella puttana panciuta dall'occhio bovino di sua moglie che io ero l'unica speranza per conquistare la Coppa Nastro Azzurro Borstal Per La Maratona (gara aperta a tutta l'Inghilterra), il che era vero, e mi fece scoppiare in una risata, nell'intimo, e io non dissi a nessun bastardo panciuto dall'occhio bovino una parola che potesse dar loro una vera speranza, pur sapendo che tanto il direttore credeva che il mio silenzio volesse dire che lui aveva quella coppa già piantata sulla nel suo ufficio tra gli altri due o tre trofei muffiti".
E dunque. Dunque.
"Non farò gli ultimi cento metri a costo di sedermi a gambe incrociate sull'erba e di farmi tirar su e trasportare fin là di peso dal direttore e dai suoi accoliti senza il mento, il che è contro le loro regole dunque potete scommettere che non lo farebbero mai perché non sono tanto in gamba da infrangere le regole" .
Nell'ottobre del 2007 io smisi di correre con le regole degli altri. Da allora, corro solo quando voglio io, e con le mie regole.

O almeno, poveretto, mi illudo di farlo.